Licenziamento dichiarato nullo con ripristino del rapporto di lavoro – diritto del datore di lavoro alla ripetizione dell’indennità di preavviso precedentemente erogata al dipendente riammesso in servizio.

Rivalutazione monetaria – escluso automatico riconoscimento in favore del datore di lavoro – onere domanda giudiziale e di prova a carico del datore di lavoro del danno da svalutazione

Restituzione al lordo delle somme indebite – esclusione – diritto alla ripetizione delle somme al netto delle ritenute fiscali

La S.C., accogliendo integralmente ricorso per cassazione promosso dal nostro studio (con gli avv.ti Riccardo Chilosi e Paolo De Marco), ha ribadito due importanti principi.

  1. Le somme che il lavoratore deve restituire al datore di lavoro non sono automaticamente oggetto di rivalutazione monetaria. Il datore di lavoro ha diritto al danno da svalutazione monetaria (in aggiunta agli interessi legali) sulle somme richieste solo ove abbia svolto specifica domanda e abbia fornito idonea prova di tale danno ai sensi dell’art. 1224 c.c. La SC ha chiarito che per i crediti del datore di lavoro non trova applicazione l’art. 429, co. 3, c.p.c., atteso che tale norma è prevista unicamente a beneficio del lavoratore creditore, sia esso dipendente o collaboratore autonomo (ai sensi dell’art. 409 co. 1, n. 3 c.p.c.).
  2. il datore di lavoro ha diritto di ripetere dal lavoratore quanto questi abbia effettivamente percepito e non può pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sua sfera patrimoniale.

 

RILEVATO CHE

  • La corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo proposta da T. spa nei confronti della dipendente  V., aveva revocato il decreto e condannato la società al pagamento di € 412.872,00 , detratta la somma di € 163,041 già percepita dalla L.V. a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, oltre gli accessori di cui all’art.429 III comma c.p.c.;
  • La L.V. aveva ottenuto una sentenza favorevole del tribunale di Roma che aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimatole in data 14.5.2001 e condannato la società a ripristinare il rapporto, quindi con successiva sentenza del tribunale di Roma del 2013 aveva ottenuto la condanna della datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento, con obbligo di restituzione delle somme percepite a titolo di indennità di preavviso, non essendo venuto meno giuridicamente il rapporto;
  • La corte di merito, respingendo l’appello principale della lavoratrice , ha ritento che le somme che la L.V. aveva obbligo di restituire alla società dovessero essere maggiorate di interessi e di rivalutazione monetaria, oltre che considerate al lordo delle ritenute fiscali e contributive, nonostante fossero state oggetto di compensazione impropria;
  • è stato respinto anche l’appello incidentale di T. spa, sia con riferimento alla legittimità del procedimento monitorio, sia con riferimento alla lamentata erroneità delle somme richieste dalla L.V., anche relativamente all’aliunde perceptum;
  • avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione   V. affidato a due motivi, poi illustrati da memoria ex art.380 bis 1 c.p.c., ha opposto difese con controricorso T. spa;

CONSIDERATO CHE

  • con il primo motivo di ricorso la L.V. deduce la violazione dell’art.429 3°comma c.p.c. e degli artt.1224 e 2967 c.c. : la corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che la somma d restituire alla società T. dalla L.V., relativa a quanto già erogato dalla datrice di lavoro a titolo di indennità di preavviso, dovesse essere maggiorata anche della rivalutazione monetaria, trattandosi di un creditore imprenditore, con applicazione quindi dell’art.429 III comma c.p.c.. Per la ricorrente in ipotesi di crediti restitutori in favore del datore di lavoro non si applica la norma di cui al citato art.429 comma 3^ c.c.p.c. non operando quindi alcun automatismo, ma dovendo il datore di lavoro provare il danno da svalutazione, ai sensi dell’art.1224 comma 2Ac. e la prova non può consistere nella sola qualificazione di imprenditore del creditore, come affermato dalla sentenza impugnata;
  • il motivo è fondato. Il riconoscimento in via automatica della rivalutazione monetaria sulle somme dovute nell’ambito del rapporto di lavoro ai sensi della norma di cui aN’art.429 comma 3^c.p.c. è previsto soltanto per il lavoratore subordinato o per il lavoratore autonomo che rientra nella fattispecie regolata dall’art.409 c.l n.3 c.p.c. e dunque per il lavoratore che non abbia organizzato la propria attività avvalendosi di un’ autonoma struttura imprenditoriale, non essendo ravvisabile in tal caso appunto un rapporto di lavoro di natura coordinata (cfr in tema di rapporto di agenzia Cass. n.3029/2015);
  • l’art.429 comma 3 citato, infatti, fa espresso riferimento a crediti “di lavoro”, che derivano quindi dallo svolgimento di prestazione lavorativa alle dipendenze di altro soggetto, o in coordinamento con lui, non da attività lavorativa organizzata in forma societaria o d’impresa, precisando successivamente che il giudice deve determinare, oltre gli interessi, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito; del resto men che meno può essere la natura imprenditoriale del datore di lavoro a dar diritto all’ automatica liquidazione della rivalutazione monetaria, come argomentato dalla corte territoriale, in quanto la norma non legittima alcuna interpretazione in tale senso, consentendo di distinguere tra datori di lavoro imprenditori e non.
  • Si tratta invero di una disposizione legislativa posta in essere nell’interesse del lavoratore creditore, subordinato o “co.co.pro”che sia, che garantisce un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla disciplina generale di cui all’art.1224 c.c., in caso di ritardato o mancato pagamento di un’obbligazione di valuta. Ne consegue l’esclusione dell’applicabilità del disposto di cui all’art. 429, 3^ comma terzo comma, c.p.c. e, quindi, dell’automatismo insito in detta previsione, riconosciuto solo in favore del lavoratore (cfr Cass. 546/2011), potendo il datore di lavoro aver diritto all’ ulteriore risarcimento da svalutazione monetaria soltanto ove abbia svolto specifica domanda e dimostrato, ai sensi del comma 2^ dell’art.1224 c.c., di aver subito un danno maggiore, non ristorabile con i soli interessi moratori.
  • Con il secondo motivo di gravame si deduce la violazione degli artt.2033 c.c. e 338 del D.P.R.n.602/1973, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c.: la corte distrettuale nel determinare la somma relativa all’indennità preavviso da restituire alla società ha erroneamente fatto riferimento ad un importo lordo, quantificato in euro 163.041,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria, sebbene la L.V. avesse ricevuto la sola somma netta pari ad euro 97746,80. Secondo la ricorrente la corte territoriale non avrebbe correttamente interpretato l’art.2033 c.c. e l’art.38 del DPR citato, affermando genericamente che l’obbligo restitutorio del lavoratore di somme dovute al datore di lavoro debba sempre essere effettuato al lordo. La sentenza impugnata avrebbe richiamato impropriamente la Cass.n.21010/2013, che si riferisce alle somme da liquidare al lavoratore che devono essere sempre considerate appunto ‘ al lordo, senza tener conto che nel caso in esame non era contestato che la somma erogata da T. spa fosse netta;
  • anche il secondo motivo è fondato. Questa corte ha statuito che in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale, a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto, ricade nel raggio di applicazione dell’art. 38, comma 1, del d.P.R, n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (così Cass.n. 1464/2012 , Cass. n.19735/2018);
  • i motivi di gravame vanno pertanto accolti, con cassazione della sentenza e con rinvio alla corte d’appello di Roma , in diversa composizione che , attenendosi ai principi di diritto di cui ai punti 8,9 e 11, dovrà rideterminare esattamente le somme che andavano restituite dalla L.V., tenuto conto di quanto era stato alla stessa liquidato dalla società in esecuzione della sentenza del 18 aprile 2005 di accertamento della nullità del licenziamento; 13) la corte di rinvio procederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio;

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, a cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 24.1.2019

Il presidente Giuseppe Bronzini

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