Il Giudice designato, dott.ssa Angela Damiani, all’udienza del 20.9.2021, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

ex art. 429, I comma, c.p.c.

nella causa tra

OSPEDALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Circonvallazione Gianicolense n. 87, rappresentata e difesa dall’Avv. – congiuntamente e disgiuntamente all’Avv.-, giusta procura in atti;

RICORRENTE

A.E., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Martiri di Belfiore n.2, presso lo studio dell’Avv. Riccardo Chilosi (PEC riccardochilosi@ordineavvocatiroma.org) e dell’Avv. Paolo De Marco (PEC paolodemarco1@ordineavvocatiroma.org) che lo rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente, giusta procura in atti;

RESISTENTE

Oggetto: indebito oggettivo e differenze retributive.

Conclusioni: i procuratori delle parti concludevano come in atti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di ricorso depositato in data 25.3.2021, l’Azienda ricorrente in epigrafe indicata agiva in questa sede rappresentando che il Dott. A. E. era suo dipendente a far data dal 19.10.1987, con qualifica di dirigente medico di primo livello, disciplina chirurgia generale; che, a seguito della sentenza n. 20304/2011 del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, l’Azienda ricorrente versava al resistente, a titolo di lavoro straordinario, la somma di € 74.181,21, oltre ad € 4.997,59 a titolo di interessi legali; che, con sentenza n. 2990/2015, la Corte d’Appello di Roma, Sezione Lavoro, accoglieva il gravame proposto dall’azienda, rigettando la domanda del resistente e di altri dipendenti; che, con ordinanza n. 16855 del 7.8.2020, la Corte di Cassazione respingeva il ricorso proposto dal Dott . A. E. e da altri dipendenti, rendendo definitiva la sentenza n. 2990/2015 della Corte d’Appello di Roma; che, in data 27.4.2015 ed in data 31.7.2020, l’Azienda ricorrente chiedeva al Dott. A. E. la restituzione dell’importo indebitamente corrisposto.

Tutto ciò premesso, concludeva chiedendo di: “NEL MERITO IN VIA PRINCIPALE: Accertare l’avvenuta indebita percezione, ex art. 2033 c.c. da parte del Dott. A. E., della somma di € 79.781,80 e condannare in medesimo alla restituzione del predetto importo, oltre interessi decorrenti dal deposito della sentenza della Corte d’appello di Roma sez. lavoro, n. 4299/14.

IN VIA SUBORDINATA:

Accertare l’avvenuto arricchimento senza causa del Dott. A. E. per l’importo di € 79.781,80 e condannare il medesimo ad indennizzare l’Azienda ricorrente per il suddetto importo, oltre interessi decorrenti dal deposito della sentenza della Corte d’appello di Roma sez. lavoro, n. 2990/15. Con vittoria di spese del presente procedimento, oltre oneri accessori.”

Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si costituiva in giudizio parte resistente, la quale contestava tutto quanto ex adverso dedotto e prodotto, rappresentando di aver inviato, in data 23.11.2020, una comunicazione all’azienda ricorrente per richiedere la monetizzazione delle ferie maturate e non godute; di aver chiesto, in data 22.10.2020, di essere posto in congedo; che, mediante determinazione del 27.11.2020, l’azienda ricorrente prevedeva la cessazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti a far data dal 1.4.2021; che, nel gennaio 2021, l’Azienda ricorrente quantificava in 336 i giorni di ferie maturate e non godute; che, in data 2.4.2021, il Dott. A. E. richiedeva la determinazione esatta delle ferie non godute alla cessazione del rapporto, con inclusa l’indennità di ferie non godute corrispondente alle giornate non fruite; che, con determinazione del 8.4.2021, l’Azienda ricorrente comunicava al resistente di non poter accogliere la richiesta.

Tutto ciò premesso, concludeva chiedendo di: accertare e dichiarare che la somma da imputare a debito del dott. A. E. in favore della Ospedale, a titolo di indebito per la non dovuta erogazione dell’importo di compenso per lavoro straordinario di cui alla sentenza del Tribunale di Roma n. 20304 del 13 dicembre 2011, successivamente riformata, e calcolata al netto di quanto a suo tempo ricevuto, ammonta ad Euro 44.983,51 e non alla superiore somma lorda richiesta in ricorso; In accoglimento della domanda riconvenzionale accertare e dichiarare che il dott. A. E., stante la mancata fruizione di n.291 giornate di ferie, ha diritto alla relativa monetizzazione, pari ad € 74.836,47 lordi, oltre al versamento della contribuzione previdenziale dovuta nei confronti dell’Ente competente.

Conseguentemente, compiuta una parziale compensazione delle partite di dare e avere, eventualmente con l’ausilio di CTU, accertata una differenza a credito del dott. A. E. condannare la Ospedale al versamento, in favore del dott. A. E., del corrispondente ammontare.”

Il ricorrente, convenuto in via riconvenzionale, depositava la sua memoria difensiva, contestando in fatto ed in diritto la domanda riconvenzionale, e concludeva chiedendo di: “accertare e dichiarare inammissibile e, comunque, infondata la domanda giurisdizionale spiegata dal ricorrente in epigrafe ed inteso alla monetizzazione delle ferie maturate e non fruite, essendo il divieto di monetizzazione di ferie non fruite espressamente disciplinato dal comma 8 dell’articolo 5della Legge 7 agosto 2012 n. 135 come da ultimo modificata dall’art. 1, comma 55, della Legge n. 228 del 2012, circostanza che consente di non accogliere quanto invocato dal ricorrente, anche perché il mancato godimento delle ferie è dipeso unicamente da una omessa pianificazione della fruizione dei benefici a cui l’interessato aveva diritto per via della decisione dallo stesso assunta di anticipare il suo collocamento in quiescenza e, per l’effetto, rigettare integralmente la domanda giurisdizionale svolta”.

La causa, istruita con la sola documentazione prodotta dalle parti, è stata discussa e decisa all’odierna udienza mediante lettura della presente sentenza contestuale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, merita di trovare accoglimento nei limiti che seguono.

Parte resistente in via riconvenzionale chiede di accertare l’indebita quantificazione e richiesta della somma complessiva di € 79.781,80 e condannare il Dott. A. E. alla restituzione del predetto importo. Parte opposta, pur non contestando la sussistenza di un debito nei confronti dell’Azienda, ne eccepisce la sua rivendicazione al lordo delle imposte.

L’orientamento della Corte di Cassazione sul punto è chiaro nello stabilire che il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore la restituzione di somme retributive indebitamente percepite al lordo delle relative ritenute fiscali, in quanto gli importi corrispondenti a dette ritenute non sono mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente. Il consolidato orientamento della Corte di Cassazione afferma che: “nel rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro versa al lavoratore la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e, quando corrisponde per errore una retribuzione maggiore del dovuto, opera ritenute fiscali erronee per eccesso. Ne consegue che, in tale evenienza, il datore di lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest’ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente” (Cass. n. 1464/2012).

In una fattispecie analoga al caso di specie, la Corte di Cassazione, con ordinanza della Sezione Lavoro n. 15755/2019, ha affermato che “questa Corte ha statuito che in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale, a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto, ricade nel raggio di applicazione dell’art. 38, comma 1, del d.P.R, n. 602 del 1973, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (così Cass. n. 1464/2012, Cass. n.19735/2018)”.

Pertanto, non vi è dubbio che debba ritenersi esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente.

Stante l’irripetibilità delle somme al lordo, è pacifico che il Dott. A. E. abbia un debito nei confronti dell’Azienda ricorrente, per quanto dalla stessa erogato sulla base della sentenza n. 20304/2011 del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, pari ad € 44.983,51.

Il Dott. A. E., tuttavia, chiede di compensare tale debito con somme di cui ritiene di avere diritto, da accertarsi nel presente procedimento. Difatti, con domanda riconvenzionale, il resistente chiede di dichiararsi che, stante la mancata fruizione di n. 291 giornate di ferie, egli avrebbe diritto alla relativa monetizzazione, pari ad € 74.836,47 lordi, oltre al versamento della contribuzione previdenziale dovuta nei confronti dell’Ente competente.

A tal riguardo, il Dott. A. E. ha fornito adeguato supporto documentale al fine di provare le suddette ferie non godute.

L’art. 8, comma 5, del D.L. n. 95/2012, convertito in L. 135/2012 e successivamente modificato, stabilisce che: “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile. Il presente comma non si applica al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie”.

Pertanto, con tale norma, nell’ambito del lavoro pubblico, si stabilisce l’obbligatorietà della fruizione ed il conseguente divieto di monetizzazione di ferie, riposi e permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale.

Il Dipartimento della Funzione Pubblica è intervenuto sul tema con il parere n. 40033 dell’8.10.2012, recentemente confermato dal parere n. 76251 del 26.11.2020, chiarendo che i casi di cessazione interessati dal divieto di monetizzazione in questione sono quelli in cui il lavoratore “concorre in modo attivo alla conclusione del rapporto di lavoro, mediante il compimento di atti (es. esercizio del proprio diritto di recesso) o comportamenti incompatibili con la permanenza del rapporto (licenziamento disciplinare, mancato superamento del periodo di prova), accettando così le eventuali conseguenze derivanti, come per l’appunto la perdita delle ferie maturate e non godute come prevista dalla norma vigente”.

Rimangono fuori dall’ambito del divieto stabilito dalla norma i vari casi di cessazione del rapporto indipendenti dalla volontà del lavoratore e dalla capacità organizzativa del datore, quali, ad esempio, il decesso, la malattia, l’infortunio ed il congedo obbligatorio per maternità.

In seguito, tale norma è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 95 del 2016, ne ha confermato la conformità a Costituzione stabilendo che, alla luce delle fonti e della giurisprudenza interne, internazionali ed europee, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una corresponsione retributiva sostitutiva delle ferie, permessi e riposi non goduti quando il mancato godimento derivi da una causa non imputabile al lavoratore.

Dunque, nel lavoro pubblico, le ferie non godute non sono automaticamente perdute per il dipendente, laddove quest’ultimo non abbia avuto la possibilità di goderne nel corso del rapporto lavorativo per motivi riconducibili ad esigenze aziendali o a carenze organizzative.

La giurisprudenza comunitaria (Grande Sezione della CGUE in data 6 novembre 2018 nella causa C-619/16) ha affermato chiaramente che il lavoratore non può perdere il diritto all’indennità per le ferie non godute nel caso in cui non abbia richiesto di fruirne durante il periodo di servizio, laddove egli non sia stato effettivamente posto dal datore nelle condizioni di poter esercitare il proprio diritto alle ferie. È il datore di lavoro ad essere gravato dall’onere di dimostrare di aver adottato le misure atte a consentire al lavoratore di fruire delle ferie e che il lavoratore vi abbia volontariamente rinunciato.

Con una recente ordinanza, la Cassazione ha completamente aderito a questo orientamento e alle motivazioni della Corte di Giustizia, riportando il principio per cui “il datore di lavoro è soprattutto tenuto – in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’art. 7 della direttiva 2003/88 – ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia posto effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo” (Cass. Ordinanza n. 13613/2020).

Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che il Dott. A. E. non abbia fruito di un numero di giorni di ferie pari a 291.

Non si ritiene che la scelta dell’A. E. di accesso alla pensione anticipata rappresenti la volontà di rifiutare la fruizione delle ferie non godute e l’intenzione dolosa di volerle monetizzare. Il numero di giornate di ferie accantonate è così ragguardevole che non può che rappresentare un problema sistematico di organizzazione del servizio interno all’azienda. Se anche il Dott. A. E. avesse scelto di non fruire dell’anticipazione della pensione, non si ritiene che il prolungamento ulteriore del servizio di qualche anno avrebbe risolto il problema dell’accantonamento di un numero di giornate di ferie così ampio. Peraltro, la scelta di anticipare la quiescenza è insindacabile, ricorrendo i requisiti di anzianità contributiva richiesti da legge.

L’Azienda ha documentato come non esistano, agli atti del reparto, richieste di ferie presentate dal Dott. A. E. e disattese per esigenze di servizio, ma non ha fornito alcuna prova che il resistente abbia espressamente rinunciato a fruire delle ferie.

Il Dott. A. E., quale dirigente medico di I° livello, si colloca in posizione subordinata a quella dei dirigenti di secondo livello e alla direzione sanitaria responsabile della conduzione della struttura ospedaliera e, pertanto, non aveva né il potere di programmare le proprie ferie, né la facoltà di attribuirsene autonomamente il godimento.

Alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza citata, si ritiene che la datrice di lavoro non sia stata in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il dirigente fosse effettivamente posto nella condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto.

Pertanto, nel caso di specie, il mancato versamento di un’indennità per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro si pone in contrasto con l’art. 7 della direttiva 2003/88, oltre che con l’art. 36 della Costituzione.

Le ferie maturate e non godute sono monetizzabili solo all’atto della cessazione dal rapporto di lavoro, con la conseguenza che il termine per azionare la pretesa economica per il mancato godimento delle ferie non può essere rappresentato da ciascun anno solare.

Parte resistente ha quantificato l’ammontare dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute in € 74.836,47, senza che vi fosse alcuna contestazione da parte dell’azienda ricorrente in merito al quantum.

Per le suesposte ragioni, si ritiene che l’azienda ricorrente vanti legittimamente un credito nei confronti del Dott. A. E., pari ad € 44.983,51 per quanto erogato in forza della Sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, n. 20304/2011; si ritiene, tuttavia, che l’azienda ricorrente debba riconoscere al Dott. A. E. l’indennità sostitutiva delle ferie non godute, per un ammontare pari ad € 74.836,47. effettuata la compensazione tra crediti omogenei residua un credito in favore del convenuto di € 29.852,96.

Pertanto, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale l’Ospedale deve essere condannata al pagamento in favore di A. E. della somma di € 29.852,96 oltre interessi legali dalle scadenze al saldo.

Le spese di lite in ragione della parziale reciproca soccombenza vengono compensate per metà tra le parti e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione;

accoglie parzialmente il ricorso promosso da OSPEDALE in data 25.3.2021 e dichiara dovuta la somma di € 44.983,51;

accoglie la domanda riconvenzionale proposta da A. E. nei confronti dell’OSPEDALE per il pagamento di € 74.836,47;

Effettuata la compensazione tra crediti e debiti tra le sesse parti condanna l’Ospedale al pagamento in favore di A. E. della somma di € 29.852,96 oltre interessi legali dalle scadenze al saldo.

compensa per metà le spese di lite tra le parti e condanna l’OSPEDALE al pagamento, di A. E., della residua parte, liquidata in complessivi € 1.500,00 a titolo di compensi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, oltre IVA e CPA come per legge.

Roma 20.9.2021

Il Giudice

dr.ssa Angela Damiani

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