Nel giudizio di impugnazione del licenziamento va operato un accertamento, in via incidentale, della validità delle sanzioni conservative richiamate ai fini della recidiva, anche in difetto di espressa domanda del ricorrente.

Il Tribunale di Larino, con argomentata ordinanza dell’8 settembre 2015, ha definito il giudizio promosso da un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento disciplinare per recidiva intimatogli nel 2014 da una casa automobilistica con riferimento alla previsione dell’articolo 32, lettera h, del Contratto Collettivo Specifico di Lavoro di primo livello applicato al rapporto di lavoro (disposizione che legittima il licenziamento con preavviso per “recidiva”, laddove al lavoratore “siano stati comminati due provvedimenti di sospensione …”).

Nel merito, il Tribunale di Larino, ritenendo la sussistenza dei fatti addebitati al lavoratore e la legittimità del licenziamento per recidiva, anche all’esito di una disamina sulla proporzionalità di esso rispetto ai fatti contestati, ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore.

Meritevole di attenzione appare il fatto che il lavoratore, nel promuovere il giudizio ai sensi dell’articolo 1, commi 47 e seguenti della Legge 28 giugno 2012, n. 92, avesse espressamente impugnato il licenziamento, deducendo, nella sostanza, l’insussistenza tanto della condotta contestata con la missiva di addebito che aveva avviato il procedimento disciplinare (si trattava di un’assenza ingiustificata), quanto delle condotte che, nel corso del 2013, erano state sanzionate con due provvedimenti conservativi di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Il lavoratore, tuttavia, non aveva formulato in giudizio espressa domanda di annullamento delle due sanzioni irrogate nel corso del 2013, tanto che la casa automobilistica, nel prendere posizione sul ricorso, aveva dichiarato di non volere accettare il contraddittorio su questioni connesse alla legittimità delle due sanzioni conservative, ritenendole estranee al petitum del ricorso.

Il Tribunale, nel risolvere la questione processuale sollevata dall’azienda (inerente la definizione dell’effettivo ambito del giudizio), ha innanzitutto ritenuto l’irrilevanza dell’omessa impugnativa fino a quel momento delle menzionate sanzioni, atteso che l’impugnazione giudiziale di un provvedimento disciplinare è certamente possibile oltre il termine di 20 giorni di cui all’articolo 7, comma 6, della Legge 20 maggio 1970 n. 300, pacificamente previsto non a pena di decadenza (cfr., in tema, sentenze della Corte di Cassazione, 19 febbraio 1992, n. 2073 e 30 marzo 2006, n. 7546).

Prendendo le mosse dalle deduzioni delle parti e dal dato sostanziale che la recidiva è elemento costitutivo del licenziamento impugnato (l’azienda aveva intimato il licenziamento con espresso riferimento alla specifica fattispecie del “licenziamento con preavviso” per “recidiva” previsto dal Contratto Collettivo sopra richiamato), il Tribunale ha ritenuto che il Giudice, cui è sottoposto il vaglio sulla legittimità del licenziamento, non possa esimersi dall’estendere l’indagine sia agli aspetti formali, sia a quelli sostanziali della recidiva, quindi alla necessaria contestazione della recidiva da parte datoriale (cfr. in tema le sentenze della Corte di Cassazione, 9 agosto 2012, n. 14326, 25 novembre 2010, n. 23924 e 23 dicembre 2002, n. 18294), all’effettiva irrogazione di provvedimenti sanzionatori nel limite del biennio e alla legittimità o meno di essi (ossia alla sussistenza o meno dell’addebito posto dal datore di lavoro quale ragione giustificatrice delle sanzioni).

Il Tribunale molisano ha osservato, per un verso, come la contestazione della legittimità delle sanzioni disciplinari integri la causa petendi della domanda di annullamento del licenziamento, senza esorbitare dalla stessa, e, per altro verso, come detti precedenti disciplinari rappresentino i presupposti che fondano la recidiva, assumendo il valore di elementi “pregiudiziali” e/o costitutivi del potere datoriale di risolvere il rapporto.

Tali precedenti disciplinari, secondo l’ordinanza in esame, debbono essere valutati dal Giudice, ancorché in via solo incidentale e senza efficacia di giudicato. Da ciò consegue, secondo l’ordinanza, che l’accertamento incidentale dell’illegittimità di sanzioni disciplinari richiamate dal datore di lavoro ai fini della recidiva non può determinare la caducazione di esse, non potendo il lavoratore avvalersi di una tale pronuncia per richiedere, ad esempio, la corresponsione al datore di lavoro della retribuzione che questi abbia trattenuto in conseguenza della irrogazione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

La soluzione della questione operata dall’ordinanza appare condivisibile, essendo improntata non alla formalistica disamina delle conclusioni del ricorso formulate dal lavoratore, ma a conferire rilievo sia al fatto che, in un caso come quello definito, la recidiva è elemento costitutivo del licenziamento, sia all’impianto deduttivo del ricorso, contenente la espressa contestazione dei fatti addebitati e sanzionati nel corso del 2013 e, quindi, della validità delle sanzioni in tali occasioni irrogate.

(Tribunale di Larino – Sezione Lavoro, Giudice Unico Dott.ssa Veronica D’Agnone, Ordinanza 8 settembre 2015)

Avv. Paolo De Marco

Laureato con lode presso l’Università degli studi «La Sapienza» di Roma nel giugno 1997 (Tesi di laurea in diritto civile, in materia di clausole vessatorie).
Dal dicembre del 1997 collabora, continuativamente, con lo studio.

Guarda tutte le sue pubblicazioni