Corte di Appello di Roma – Sezione Lavoro – Consigliere Relatore Dottor Michelini – Sentenza 9 aprile 2015, n. 3161

La sentenza, con orientamento conforme alla giurisprudenza di legittimità formatasi sull’articolo 2730 codice civile, ha ritenuto che le dichiarazioni confessorie rese dal dirigente in sede disciplinare, ammissive del fatto contestato nella sua materialità, non possano anche essere interpretate come riconoscimento da parte del medesimo dell’obbligo di osservanza dell’orario di lavoro e di timbratura del badge in entrata ed in uscita dai locali aziendali. In sede di qualificazione giuridica dei fatti contestati, la Corte di appello ha conferito rilievo alla prassi aziendale, dedotta dal dirigente e confermata dall’istruttoria, in ragione della quale l’ospedale aveva accettato una gestione sostanzialistica dell’orario di lavoro, svincolata dal rispetto della timbratura magnetica ed orientata al risultato della gestione del reparto di cui questi era responsabile.

La sentenza ha interpretato l’articolo 3, comma 3 del Contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro (“CCNL ARIS ANMRIS”) ritenendo che esso determini l’applicazione al personale dirigente medico dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

La sentenza ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento, rilevando, alla luce di una disamina del codice disciplinare applicato al rapporto di lavoro, che il fatto contestato fosse passibile di sanzione conservativa e non del licenziamento; ha pertanto disposto, ai sensi dell’articolo 18, comma 4, della Legge 20 maggio 1970, n. 300, come novellato dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92, la condanna dell’ospedale alla reintegra del dirigente nel posto di lavoro e al pagamento della indennità risarcitoria di 12 mensilità.

 

1. La vicenda di causa e le domande formulate dal dirigente

Un ospedale della capitale contestava ad un dirigente medico l’inosservanza, in diverse giornate, dell’integrale orario di lavoro, posta in essere con l’allontanamento, per alcune ore, dalla struttura aziendale, non segnalato con la timbratura del badge in uscita e successivo rientro in sede. La contestazione disciplinare veniva fondata sul Contratto Collettivo Personale Dirigente Medico Dipendente Ospedali Religiosi Classificati, IRCCS (“CCNL ARIS – ANMRIS”) e su un ordine di servizio del 1996, che prescriveva l’obbligo di tutto il personale di osservanza dell’orario di lavoro e di timbratura del badge.

Il dirigente, in sede disciplinare, ammetteva il compimento delle condotte addebitategli, giustificandole con un temporaneo affaticamento psicologico, e richiedeva all’azienda di tenere conto della diligenza manifestata nel trentennale rapporto di lavoro e dell’assenza, a suo carico, di precedenti disciplinari.

L’ospedale, ritenendo confermato il fatto contestato e leso il nesso fiduciario, lo licenziava per giusta causa nell’agosto 2012.

Il dirigente adiva il Tribunale di Roma, lamentando, tra l’altro, l’illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa e difetto di proporzionalità. A supporto della domanda, negava l’obbligo di rigida osservanza dell’orario di lavoro e di timbratura del badge, deducendo che l’azienda, per prassi, aveva sempre preteso dai dirigenti, non la formalistica osservanza dell’orario di lavoro, ma l’esecuzione delle prestazioni in funzione del risultato di una gestione responsabile del reparto ad essi affidato. Stante l’applicazione, ratione temporis, al licenziamento dell’articolo 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (“Statuto dei Lavoratori”) come novellato dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92 (“Legge Fornero”), il dirigente formulava domande di reintegra nel posto di lavoro e, subordinatamente, di riconoscimento della tutela indennitaria ai sensi del comma 5.

Il Tribunale di Roma, sia nella fase a cognizione sommaria, sia nella fase di opposizione, rigettava la domanda proposta dal dirigente.

 

2. La sentenza della Corte di appello di Roma

La Corte di appello di Roma, riformando la sentenza della fase di opposizione [Sentenza del Tribunale di Roma 14 luglio 2014, n. 7986, edita in Diritto 24, 8 settembre 2014,con il commento di Ottavio Pannone], dichiarava l’illegittimità del licenziamento e condannava l’ospedale alla reintegra del dirigente nel posto di lavoro, ai sensi dell’articolo 18, comma 4, dello “Statuto dei Lavoratori”, ritenendo il fatto contestato non rientrante tra le condotte punibili con sanzione conservativa dal codice disciplinare.

La sentenza in commento ha ritenuto l’illegittimità del licenziamento impugnato e l’insussistenza di giusta causa sulla base di tre ragioni: la prima, l’essere emersa dall’istruttoria compiuta l’esistenza della prassi dedotta dal dirigente; la seconda, l’essere le condotte contestate positivamente contemplate dal contratto collettivo sopra richiamato come suscettibili di sanzione conservativa (rimprovero o multa); la terza, il difetto di proporzionalità del recesso rispetto al fatto contestato.

La Corte di appello ha ritenuto l’applicabilità dell’articolo 18 dello “Statuto dei Lavoratori”, nell’assunto che il “CCNL ARIS – ANMRIS” chiarisce che al rapporto dei dirigenti medici della sanità privata si applicano tutte le tutele della legge 300/1970 ivi compresa la tutela del posto di lavoro prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (art. 3, comma 3, CCNL 1994, la cui continuità di applicazione è ribadita dall’art. 3, comma 3, CCNL 1998)”.

La sentenza in commento presenta i seguenti aspetti meritevoli di interesse.

 

3. Effetti delle dichiarazioni confessorie rese in sede disciplinare e rilevanza della prassi aziendale nella qualificazione giuridica del fatto contestato.

La Corte di appello di Roma, con difforme valutazione rispetto a quella operata in sede di opposizione, ha ritenuto che le dichiarazioni ammissive operate dal dirigente debbanoessere lette nel contesto “di una sostanziale tolleranza del datore di lavoro ad una prassi in forza della quale ai responsabili dei reparti veniva richiesta, essenzialmente, una prestazione di risultato in termini di gestione del reparto stesso, in larga parte svincolata dal rispetto di rigidi orari”, anche in considerazione della tempistica relativa a visite mediche ed alla disponibilità del dirigente a trattenersi in orari serali e, talvolta, nelle giornate del sabato o festive.

Stante il tenore delle dichiarazioni rese, nella specie, dal dirigente, giova rammentare che l’articolo 2730, comma 1, codice civile definisce “la confessione” come “la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte”.

La giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato, ha precisato che la confessione è un atto giuridico avente ad oggetto fatti obiettivi e non opinioni e giudizi [tra le altre, cfr. Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenze 16 giugno 1990, n. 6059, 27 febbraio 2001, n. 2903 e 30 luglio 2002, n. 11266] e che la stessa non può comprendere la qualificazione giuridica del fatto, che è riservata esclusivamente al giudice [tra le altre, cfr. Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, sentenza 21 ottobre 1992, n. 11498; Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 6 agosto 2003, n. 11881].

La pronuncia in commento, nel solco della giurisprudenza richiamata, ha ritenuto la valenza confessoria delle dichiarazioni rese dal dirigente, poiché ammissive del fatto contestato nella sua materialità, ma ha escluso che esse potessero implicare il riconoscimento, da parte del lavoratore, dell’obbligo di osservanza dell’orario di lavoro e di timbratura del badge in entrata ed in uscita dai locali aziendali e, in un certo senso, che contenessero un (logicamente arduo) riconoscimento ex ante della legittimità del licenziamento.

D’altro canto, una diversa soluzione interpretativa sugli effetti da attribuire alle dichiarazioni confessorie rese in sede disciplinare si rivelerebbe eccessivamente penalizzante per il dipendente, specie nei casi in cui questi, nei cinque giorni previsti dall’articolo 7 dello “Statuto dei Lavoratori”, abbia articolato le giustificazioni sugli addebiti ricevuti senza alcuna assistenza tecnico-giuridica e, come talvolta accade, senza nemmeno avere un quadro puntuale del fatto materiale contestato e delle conseguenze della relativa ammissione.

Anche in ragione della delicatezza del contesto nel quale le dichiarazioni in questione vengono rilasciate, costituisce opzione interpretativa più corretta quella che tragga dalla eventuale ammissione, da parte del dipendente, di un fatto a sé sfavorevole il “solo effetto” del riconoscimento dell’esistenza, in tutto o in parte, del fatto materiale contestato, senza alcuna implicazione sulla qualificazione giuridica di esso, riservata al Giudice.

La conferma dell’effettività della condotta contestata, del resto, è molto rilevante in un giudizio d’impugnazione del licenziamento rientrante nell’ambito di applicazione dello “Statuto dei Lavoratori”, come novellato dalla “Legge Fornero”, stanti le opzioni interpretative operate dalla nota sentenza della Corte di Cassazione 23 novembre 2014, n. 23669 in ordine alla espressione “insussistenza del fatto contestato” di cui all’articolo 18, comma 4: a fronte della conferma del fatto materiale contestato, infatti, il lavoratore può invocare la tutela reintegratoria “attenuata” solo nel caso in cui la condotta oggetto dell’addebito rientri tra quelle punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare.

Non è un caso se la sentenza in commento abbia applicato la tutela reintegratoria a beneficio del dirigente medico, non tanto in ragione della insussistenza della condotta contestata (sostanzialmente confermata dall’interessato), quanto in forza di tale secondo presupposto, essendo la condotta passibile di sanzione conservativa.

La pronuncia in commento contiene, inoltre, una interpretazione delle disposizioni del “CCNL ARIS – ANMRIS” 1998 (opposta a quella operata dal Tribunale di Roma in fase di opposizione), che riconosce l’applicazione dello “Statuto dei Lavoratori” ai dirigenti medici ospedalieri.

L’articolo 3 del “CCNL ARIS – ANMRIS” del 1998 stabilisce che “… ai dirigenti medici di II livello in servizio alla firma del presente contratto continuano ad applicarsi le norme di cui alle leggi 604/66 e 300/70 e la prima verifica di cui all’art. 29 verrà effettuata a 10 anni dal nuovo inquadramento; ai soli fini del recesso le stesse norme continuano ad applicarsi ai dirigenti medici a tempo indeterminato e che abbiano superato il periodo di prova in forza alla ratifica del presente contratto”.

Il precedente “CCNL ARIS – ANMRIS” del 1994, all’articolo 3, comma 3, stabiliva che il rapporto di lavoro del personale medico “sarà a tempo indeterminato e ad esso si applicano tutte le tutele della Legge 300/70 e successive modifiche ed integrazioni ivi compresa la tutela del posto di lavoro prevista dell’art 18 dello Statuto dei Lavoratori”.

La Corte di appello di Roma, ravvisando una continuità tra le due disposizioni contrattuali collettive, ha ritenuto che l’articolo 3 del “CCNL ARIS ANMRIS” 1998 determini l’applicazione dell’articolo 18 dello “Statuto dei Lavoratori” al personale dirigente medico.

L’interpretazione delle disposizioni contrattuali collettive operata nella sentenza in commento appare condivisibile e rispondente sia al tenore testuale di esse, anche in relazione alla complessiva disciplina dettata dal “CCNL ARIS ANMRIS” del 1998, sia al contesto normativo al momento vigente.

A tale ultimo riguardo va segnalato che, a seguito della Legge 23 ottobre 1992, n. 421, legge delega per il riordino della disciplina in materia sanitaria, il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 ha introdotto, all’articolo 15, una nuova disciplina della dirigenza medica e delle professioni sanitarie, per effetto della quale i medici si sono visti riconoscere formalmente la qualifica di dirigente.

Nel settore della sanità privata, cui detta normativa non trovava applicazione, la contrattazione collettiva degli anni ’90 ha modificato la regolamentazione del rapporto di lavoro del personale medico, recependo, gradualmente e per quanto possibile, la disciplina pubblicistica in materia sanitaria.

Il “C.C.N.L. ARIS ANMRIS” del 1998, all’articolo 3, comma 1, con disposizione pressoché speculare a quella dell’articolo 15 Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ha previsto che “la dirigenza medica è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, e in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali”.

La scelta operata di delineare una dirigenza compatta e indistinta ha configurato una figura dirigenziale “atipica”, connotata da una regolamentazione contrattuale peculiare nel panorama delle contrattazioni collettive della dirigenza privata. La disamina delle disposizioni del “CCNL ARIS ANMRIS” 1998, nella loro complessità, dà conferma che, a dispetto della qualifica dirigenziale attribuita al personale medico, molteplici sono gli aspetti che mal si conciliano con essa e con la delineazione, operata dalla giurisprudenza [cfr., tra le altre, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 22 dicembre 2006, n. 27464], del dirigente quale alter ego dell’imprenditore: tra le altre, le previsioni di un orario di lavoro settimanale (38 ore), del compenso per lavoro straordinario, dei permessi.

Non sorprende allora che il “CCNL ARIS ANMRIS” 1998, lungi dall’introdurre una tutela di tipo indennitario (indennità supplementare) per il caso di ingiustificatezza del licenziamento (tutela generalmente riconosciuta dai contratti collettivi della dirigenza dei principali settori merceologici), abbia optato per la diversa ed insolita soluzione di applicare al dirigente medico, per estensione contrattuale, la disciplina limitativa dei licenziamenti di cui alla Legge 15 luglio 1966, n. 604 e dello “Statuto dei Lavoratori”, rimanendo nel solco della scelta operata dal “CCNL ARIS ANMRIS” 1994. Opzione che risulta confermata dall’articolo 56 (“Licenziamenti individuali”) del “CCNL ARIS ANMRIS” del 1998, che ribadisce l’applicazione delle norme e delle procedure della Legge 15 luglio 1966, n. 604 e dello “Statuto dei Lavoratori”, le cui tutele, alternative, operano in relazione ai requisiti dimensionali del datore di lavoro.

A fronte di tali elementi, l’applicazione, nella specie, della disciplina reintegratoria “attenuata” di cui all’articolo 18, comma 4, dello “Statuto dei Lavoratori” appare correttamente operata dalla sentenza in commento, la quale ha rilevato, tra l’altro, la natura non apicale delle mansioni concretamente assolte dal dirigente.

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Avv. Paolo De Marco

Laureato con lode presso l’Università degli studi «La Sapienza» di Roma nel giugno 1997 (Tesi di laurea in diritto civile, in materia di clausole vessatorie).
Dal dicembre del 1997 collabora, continuativamente, con lo studio.

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