Nota a Tribunale di Velletri, Sez. Lav., ordinanza 29 luglio 2016, Tribunale di Roma, Sez. Lav., ordinanza 2 novembre 2016 e Tribunale di Bergamo, Sez. Lav., ordinanza 12 gennaio 2017

Pubblicato sulla rivista “Lavoro e Previdenza Oggi”, Fascicolo 5-6, maggio/giugno 2017

 

Sommario: 1. La procedura “in mancanza di occasione di lavoro” di cui all’art. 25 del CCNL “Lavoratori somministrati delle Agenzie per il Lavoro” del 7 aprile 2014 – 2. Il particolare atteggiarsi del g.m.o. nei rapporti di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato – 3. Sull’onere di allegazione e prova – 4. Sul regime di tutela – 5. Considerazioni conclusive.

Le interessanti pronunce sopra riportate consentono di affrontare il tema, piuttosto specifico, inerente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nei rapporti di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato, ancora poco approfondito, a quanto consta, in dottrina[2] e oggetto di qualche pronunciamento isolato nella giurisprudenza di merito.

Tutte le ordinanze in commento hanno dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti per g.m.o. intimati dalle Agenzie di somministrazione convenute (di seguito, Agenzie per il Lavoro o ApL) al termine della procedura prevista dall’art. 25 del CCNL di settore, ritenendo manifestamente insussistente la “mancanza di occasioni di lavoro”, addotta a base dei recessi, e disponendo l’applicazione della tutela reintegratoria c.d. attenuata di cui all’art. 18, co. 4, L.300/1970, come novellato dalla L. n.92/2012.

 

  1. La procedura “in mancanza di occasione di lavoro” di cui all’art. 25 del CCNL “Lavoratori somministrati delle Agenzie per il Lavoro” del 7 aprile 2014

Appare opportuno rilevare che l’art. 25 del CCNL di settore prevede, per l’ipotesi in cui l’ApL non possa mantenere alle proprie dipendenze uno o più lavoratori assunti a tempo indeterminato per “mancanza di occasioni di lavoro”, l’avvio di una procedura – della durata di sei mesi (elevati dal CCNL a sette mesi, nel caso di lavoratori ultracinquantenni), che iniziano a decorrere dal 30° giorno successivo alla data di comunicazione all’Ente bilaterale Forma.temp –, che mira alla riqualificazione professionale degli interessati, con la finalità di evitare, ove possibile, il licenziamento e favorire la ricollocazione di essi presso nuovi utilizzatori.

Nella fase iniziale della procedura, Forma.temp convoca l’ApL e le parti sindacali innanzi alla Commissione sindacale territoriale (CST) competente per valutare la sussistenza delle condizioni per la sottoscrizione di un accordo inerente i “contenuti del percorso di riqualificazione professionale”, cui avviare il lavoratore collocato in disponibilità (art. 25, punto 6 del CCNL).

L’accordo, ove raggiunto tra le parti, ha un contenuto articolato, in quanto esso: a) indica l’ambito territoriale entro cui l’ApL è tenuta a valutare le possibili occasioni di ricollocazione del lavoratore collocato in disponibilità; b) definisce il patrimonio professionale del lavoratore cui fare riferimento per valutare le occasioni di lavoro (in linea con i criteri di congruità professionale, e non solo, contenuti nell’art. 50 del CCNL); c) identifica le attività del percorso di riqualificazione professionale che l’APL si impegna a porre in essere nel periodo di durata della procedura.

L’art. 25, comma 19, del CCNL prevede che le parti sottoscrittrici dell’accordo di cui al comma 6 debbano incontrarsi, entro la fine della procedura, per effettuare il monitoraggio delle attività svolte dall’ApL in relazione a quanto era stato concordato nell’accordo.

Nel caso in cui le attività di riqualificazione definite nell’accordo non abbiano consentito la ricollocazione del lavoratore coinvolto, l’ApL può recedere dal rapporto di lavoro per gmo, perdurando la mancanza di occasioni di lavoro e, quindi, lo stato di inoccupabilità del dipendente interessato (art. 25, comma 20, del CCNL).

Ciò brevemente richiamato, merita evidenziazione il fatto che, in tutti i tre giudizi definiti con le ordinanze in esame, le ApL resistenti abbiano avviato la procedura speciale citata e abbiano sottoscritto un accordo con le parti sindacali, ai sensi dell’art. 25, commi 6 e 7, del CCNL, intimando licenziamento al termine della procedura.

Per pura completezza si segnala che l’art. 25, comma 15, del CCNL si limita a prevedere, nei confronti della ApL che intimi il licenziamento senza osservanza della procedura ivi disciplinata, esclusivamente delle conseguenze economiche, che si concretano nel trasferimento, ad opera di Forma.temp, di un importo pari al compenso previsto per l’intera procedura, maggiorato di una mensilità dal conto Azienda al fondo solidale di garanzia.

È stato osservato che l’avvio della procedura di cui all’art. 25, se richiesto alle ApL in termini di adempimento contrattuale (conseguente all’applicazione del CCNL di settore), non può intendersi quale presupposto obbligatorio e preliminare all’intimazione del licenziamento, che, ove mancante, possa automaticamente ed irreversibilmente determinare l’illegittimità del licenziamento intimato[3]. La valutazione della legittimità o meno del licenziamento per g.m.o deve essere operata sempre a stregua dell’art. 3 della L. n. 604/1966, cosicché il mancato rispetto della “procedura in mancanza di occasioni di lavoro” prevista dal CCNL, se del caso assimilabile a vizio di ordine procedurale, potrà costituire circostanza meritevole di rilievo nell’apprezzamento dei fatti.

Occorre, peraltro, considerare che il tema dell’inosservanza della procedura, di valenza teorica, appare sul piano pratico destinato ad avere un rilievo piuttosto limitato, atteso che, a quanto consta nella maggior parte dei casi le ApL osservano la procedura dell’art. 25 citato, sia per le meritorie finalità di politica attiva e di flessibilità che essa mira a perseguire[4], sia per un utilitaristico risparmio di costi che essa garantisce all’azienda, specie nel caso in cui sia raggiunto l’accordo di cui all’art. 25, commi 6 e 7, del CCNL.

L’accordo, inoltre, si rivela utile per l’ApL anche per l’ipotesi in cui essa si veda costretta, al termine della procedura, ad intimare licenziamento per g.m.o. al lavoratore collocato in disponibilità per mancanza di occasioni di lavoro: sembra ragionevole prevedere che i contenuti dell’accordo (nei ricordati termini definitori dell’ambito entro cui vada ricercata una ricollocazione per il dipendente) influenzino profondamente l’accertamento da operare nel giudizio di impugnativa del licenziamento[5].

 

 

  1. Il particolare atteggiarsi del g.m.o. nei rapporti di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato

Il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore, ove costituito a tempo indeterminato, è soggetto alla disciplina di carattere generale prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr. l’abrogato art. 22, D.Lgs. n. 276/2003 e, in termini similari, il vigente art. 34, co. 1, del D.Lgs. n. 81/2015).

Con riferimento alla risoluzione del rapporto di lavoro, in particolare per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3 della L. n. 604/1966, le ordinanze in commento (esplicitamente, quella resa dal Tribunale di Bergamo) evidenziano l’esigenza di un adattamento delle disposizioni di carattere generale rispetto al tipo contrattuale e alla peculiare tipologia datoriale ravvisabile nella ApL.

Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione la ricerca di una nuova “missione” per il lavoratore dipendente, a beneficio di un utilizzatore, appare il principale adempimento cui è tenuta l’ApL. Tanto è espressione della causa stessa del contratto di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato e del suo naturale collegamento ad un potenziale contratto commerciale di somministrazione tra l’ApL e l’utilizzatore, come confermano le previsioni di cui all’art. 20, co. 2, D.Lgs. n. 276/2003 (oggi art. 34, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015) e di cui all’articolo 25 del CCNL di settore.

In detto rapporto lavorativo, al venir meno della somministrazione, l’ApL colloca in disponibilità il lavoratore in attesa di una nuova missione, con erogazione dell’indennità di disponibilità nella misura e per la durata stabilita dal contratto collettivo applicabile al somministratore (art. 22, co. 3, D.Lgs. n. 276/2013, abrogato, e il vigente art. 34, co. 3, D.Lgs. n. 81/2015).

Le ordinanze in commento, condivisibilmente, con motivazioni più o meno esplicite in questo senso, escludono che, ai fini di integrare il g.m.o., possa essere sufficiente il venire meno dell’ultima missione cui sia stato adibito il lavoratore in somministrazione a tempo indeterminato[6], ritenendosi, a tal fine, indispensabile la ricorrenza di ulteriori presupposi fattuali.

Una tale conclusione appare coerente con la ratio delle norme che regolamentano la somministrazione e, nelle fattispecie decise dalle ordinanze in commento, aderente con le motivazioni indicate nelle comunicazioni di licenziamento inoltrate ai lavoratori ricorrenti, nelle quali si invocava il g.m.o a fronte del decorso della procedura citata e della perdurante mancanza di occasioni di lavoro, ai sensi dell’art. 25, co. 20 del CCNL di settore.

L’art. 25 richiamato attesta l’attenzione che le parti sociali hanno conferito al tema della ricollocazione dei lavoratori a tempo indeterminato in somministrazione, ritenendo, in aderenza alla ratio sottostante a tale contratto di lavoro, che la ApL non possa procedere all’intimazione del licenziamento prima del vano decorso di un cospicuo lasso temporale di inutilizzo del lavoratore rientrato dall’ultima missione e collocato in disponibilità, necessario per valutare se l’interessato sia nuovamente impiegabile da parte dell’ApL presso nuovi utilizzatori, anche grazie ai benefici del percorso formativo finanziato con le risorse della bilateralità.

La giustificazione del licenziamento, quindi, trova il proprio presupposto centrale (se non esclusivo) non nel venire meno dell’ultima missione (che, alla data d’intimazione del licenziamento, si atteggia quale fatto ormai piuttosto datato ed, il più delle volte, incontestato tra le parti), quanto nella perdurante “mancanza delle occasioni di lavoro” e nell’impossibilità dell’ApL di assolvere alla propria obbligazione principale, nel periodo compreso dalla data di collocazione in disponibilità fino al termine della procedura dell’art. 25 del CCNL di settore.

Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione, quindi, la valutazione sulla legittimità del licenziamento intimato per g.m.o., piuttosto che incentrarsi sulla sussistenza e/o effettività di ragioni addotte dall’ApL con riguardo all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3 della Legge n. 604/66), inerisce, più frequentemente, al tema della possibile ricollocazione del lavoratore, collocato in disponibilità, presso nuovi utilizzatori. Aspetto che si distingue dal comune obbligo di repêchage, tenuto conto che la valutazione di eventuale ricollocazione non viene operata dalla ApL con riferimento alla propria organizzazione aziendale – essendo improbabile che vi possano essere consistenti spazi di utilizzazione diretta del lavoratore collocato in disponibilità da parte della agenzia (salvo ed eventualmente per quei dipendenti che si occupino di adempimenti amministrativi, contabili o di valenza commerciale, che potrebbero essere assolti all’interno della organizzazione datoriale) –, ma con riferimento alla possibile utilizzazione del lavoratore da parte di un nuovo soggetto terzo. L’art. 25 del CCNL significativamente utilizza il termine “occasioni di lavoro”, che lascia intuire che all’ApL non si possa richiedere altro se non di interpellare il lavoratore in disponibilità per rappresentargli il potenziale interesse di un utilizzatore e, per altro verso, di sottoporre a quest’ultimo la candidatura del lavoratore medesimo.

Il tema della ricollocazione appare saggiamente delimitato nel citato art. 25 del CCNL, che, nel prevedere una procedura da gestire preventivamente rispetto all’intimazione (eventuale) del licenziamento con la partecipazione della parte sindacale, offre la possibilità all’ApL di definire, con l’accordo di cui ai commi 6 e 7, il perimetro territoriale e di competenze professionali entro il quale essa sia tenuta a valutare e sponsorizzare la figura del lavoratore collocato in disponibilità presso nuovi utilizzatori, prima di intimargli il licenziamento per g.m.o., essendo ardito immaginare di addossare ad una Agenzia di somministrazione l’onere di dimostrazione dell’obbligo di repêchage nei termini ordinariamente richiesti dalla giurisprudenza per un normale datore di lavoro.

L’accordo di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 25, ove sottoscritto in corso di procedura con una parte sindacale prossima alla realtà lavorativa ed al vissuto del dipendente collocato in disponibilità, risulta molto rilevante nella valutazione sulla legittimità del licenziamento eventualmente intimato dall’ApL e sull’avvenuto adempimento, ad opera di essa, delle obbligazioni ivi assunte.

Correttamente le ordinanze in commento, nella valutazione sull’effettività della perdurante mancanza di occasioni di lavoro (invocata dalle ApL resistenti nelle comunicazioni di licenziamento), non si sono limitate a verificare il mero decorso del termine previsto dall’art. 25, comma 7, del CCNL, ma hanno operato un attento vaglio relativo all’osservanza o meno, ad opera dell’agenzia, delle previsioni degli accordi sottoscritti in sede di procedura, ai sensi dei commi 6 e 7, al fine di valutare se il percorso di riqualificazione professionale, concordato in sede negoziale, fosse stato attuato e se le ipotesi di ricollocazione eventualmente concretizzatesi siano state effettivamente prese in considerazione dall’ApL e prospettate tanto al lavoratore interessato, quanto ai potenziali utilizzatori di questi.

L’adempimento di un tale obbligo contrattuale, ad opera dell’ApL, deve avvenire non solo nel rispetto formale della procedura prevista dalla contrattazione collettiva, ma anche in osservanza dei principi generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono all’ApL di tenere effettivamente in considerazione il lavoratore collocato in disponibilità per tutte le nuove missioni che abbiano ad oggetto posizioni lavorative omogenee con la professionalità dello stesso (nell’effettivo rispetto del profilo professionale del lavoratore in disponibilità, identificato nell’accordo sottoscritto con le parti sindacali innanzi alla CST, e del principio di congruità di cui all’art. 50 del CCNL in questione, che costituisce strumento valido per la valutazione della correttezza del comportamento dell’ApL anche nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo).

Nelle controversie definite dalle ordinanze in commento, i lavoratori hanno puntualmente contestato l’osservanza della procedura di cui all’art. 25 del CCNL ad opera delle rispettive ApL, deducendo che, nel corso della durata di essa, gli stessi non fossero stati illegittimamente tenuti in considerazione per delle potenziali missioni rientranti nel perimetro (di area geografica e di profilo professionale) definito preventivamente nell’accordo.

I licenziamenti intimati dalle ApL sono stati ritenuti illegittimi dalle ordinanze in commento poiché, in un caso (ordinanza del Tribunale di Velletri), l’ApL, nel periodo di collocazione in disponibilità del lavoratore, aveva sottoscritto un contratto di somministrazione per l’espletamento di mansioni compatibili con il profilo professionale del dipendente, non prospettando a questi l’occasione di lavoro determinatasi, né rappresentando alla società nuova cliente (che, peraltro, aveva condizionato la costituzione del rapporto di somministrazione con l’ApL alla circostanza che le venisse somministrata una specifica e diversa risorsa, da assumere ad hoc) la possibilità di somministrare ad essa tale lavoratore.

Nel secondo caso (ordinanza del Tribunale di Roma), nel periodo di durata della procedura, era emerso che l’ApL avesse somministrato almeno una risorsa per l’espletamento di mansioni sostanzialmente omogenee rispetto a quelle che il lavoratore licenziato aveva assolto, finché era stato occupato, e compatibili con il suo patrimonio professionale e che l’ApL non avesse nemmeno prospettato al lavoratore tale occasione di ricollocazione.

Nel terzo caso (ordinanza del Tribunale di Bergamo) è stato ritenuto decisivo, ai fini della valutazione d’illegittimità del licenziamento, il fatto che l’ApL, pur avendo dato prova di essersi attivata per la ricollocazione del lavoratore nella fase iniziale della procedura di cui all’art. 25 del CCNL, non avesse fornito allegazioni e prove sufficienti dei tentativi di ricollocamento del lavoratore, poi licenziato, compiuti nella fase finale della procedura, non risultando prodotto alcunché a riprova di invio di curricula dell’interessato a potenziali clienti o di candidature del medesimo in favore di eventuali utilizzatori. Aspetti, quelli rilevati in tale ultima ordinanza, che ponevano in discussione l’effettiva sussistenza della mancanza di occasioni di lavoro invocata nella comunicazione di licenziamento.

Il controllo sulla legittimità del licenziamento per g.m.o. in tutti i casi esaminati dalle pronunce in commento è passato da una verifica, quindi, dell’osservanza della procedura dell’art. 25 del CCNL citato e delle condizioni dell’accordo, sottoscritto in seno ad essa.

L’avere ignorato un lavoratore in disponibilità per un’occasione lavorativa “congrua” con il suo profilo professionale o il non avere preso in considerazione il medesimo in alcun modo appare vizio determinante, che inficia il licenziamento intimato per la ragione centrale che la mancanza di occasioni di lavoro dedotta a giustificazione del licenziamento, a stregua del comma 20 dell’art. 25, non può considerarsi effettiva.

 

 

  1. Sull’onere di allegazione e prova

Le ordinanze in commento (specie quella di Bergamo) addossano espressamente alla parte datoriale l’onere di allegazione e prova della sussistenza del g.m.o. invocato dall’ApL a sostegno del licenziamento.

Ciò appare coerente con la considerazione che l’onere della prova della sussistenza del g.m.o. (così come della giusta causa) incombe sul datore di lavoro, stante l’espressa previsione dell’art. 5 della Legge n. 604/66.

Si ritiene che una tale conclusione sia anche coerente con le considerazioni appena compiute, tese ad evidenziare come presupposto centrale del g.m.o., nel caso dei rapporti di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato, sia la “mancanza di occasioni di lavoro”, che costituisce una espressione qualificata e delimitata di repêchage prevista dal CCNL di settore.

Se così è, non sembra che si possa ignorare il consolidarsi recente di un orientamento della Corte di Cassazione, che ha riaffermato come l’onere della prova del g.m.o. (anche con riferimento all’avvenuto adempimento dell’obbligo di repêchage) gravi integralmente sulla parte datoriale, senza che si possa ritenere l’esistenza, a carico del lavoratore, di un onere deduttivo delle possibilità di ricollocazione alternative al licenziamento impugnato[7].

I principi espressi da tale orientamento possono essere confermati anche nella fattispecie in esame, specie laddove – come è certamente nei casi definiti con le ordinanze in commento – l’ApL recedente abbia sottoscritto un accordo ai sensi dell’art. 25, commi 6 e 7 del CCNL di settore, atteso che, grazie alla perimetrazione territoriale e di contenuto professionale che detto accordo pone in essere, non appare insormontabile per l’ApL assolvere all’onere di dimostrazione di avere effettivamente proposto al lavoratore e sottoposto al potenziale utilizzatore tutte le possibili occasioni di lavoro congrue rispetto al profilo professionale dell’interessato e ricadenti nell’area geografica preventivamente delimitata.

Vi è, peraltro, da rilevare che, in quasi tutti i giudizi definiti con le ordinanze in esame, le parti ricorrenti avevano formulato deduzioni specifiche a censura della condotta tenuta dall’ApL, in particolare facendo riferimento ad occasioni di lavoro non prospettate agli interessati e lamentando l’inadempimento dell’accordo sottoscritto in corso di procedura.

A dispetto di quanto sopra osservato, appare consigliabile per il lavoratore operare delle deduzioni specifiche in ordine alle occasioni di lavoro dalle quali ritenga di essere stato ingiustamente escluso, anche in considerazione di alcuni precedenti della giurisprudenza di merito che hanno rigettato ricorsi nell’ambito dei quali erano state operate contestazioni solo di carattere generico[8] oppure invocando una violazione dell’obbligo di repêchage tout court, senza alcuna contestazione specifica della procedura avviata dalla ApL datrice di lavoro o inerente eventuali inadempimenti dell’agenzia rispetto agli obblighi assunti nell’accordo di cui ai punti 6 e 7 dell’art. 25 del CCNL[9].

Le variegate posizioni espresse dalla giurisprudenza di merito in ordine alla sussistenza di un onere di allegazione e prova a carico del lavoratore devono indurre prudenzialmente le parti ricorrenti, che intendano impugnare un licenziamento, ad allegare in modo puntuale e, se del caso, provare la sussistenza di eventuali occasioni di lavoro coerenti con i contenuti dell’accordo di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 25 del CCNL o, comunque, “congrue” ai sensi dell’art. 50 del CCNL di settore.

 

 

  1. Sul regime di tutela

Le tre ordinanze in commento – tutte emesse con riferimento a rapporti di lavoro costituiti prima del 7 marzo 2015[10] e, quindi, regolamentati, in ordine alla tutela applicabile in caso di licenziamento, dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come novellato dalla Legge n. 92/2012 – hanno disposto l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata a beneficio dei lavoratori ricorrenti, ai sensi dell’art. 18, commi 4 e 7, della Legge n. 300/70, come novellata dalla Legge n. 92/2012[11], ritenendo i licenziamenti intimati ai lavoratori ricorrenti fondati su un “fatto manifestamente insussistente”.

L’ordinanza del Tribunale di Velletri, nel concludere nel senso detto (ossia la “manifesta insussistenza del fatto”), affronta estesamente la questione del regime di tutela applicabile, optando per la sanzione reintegratoria attenuata, con un percorso argomentativo piuttosto articolato, che è il riflesso delle numerose problematiche interpretative che ha suscitato il testo dell’art. 18, co. 7, della L. n. 300/1970, come novellato dalla L. n. 92/2012, laddove prevede che il giudice “può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma[12].

Merita sottolineatura l’opzione compiuta dai provvedimenti in esame, proprio in ragione di quanto osservato in precedenza a proposito del fatto che, nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione, il licenziamento per g.m.o. trova il proprio presupposto determinante nel perdurare dello stato d’inoccupabilità del lavoratore per mancanza di occasioni di lavoro, ossia di quella versione qualificata di repêchage disciplinata dal CCNL di settore, che tuttavia è ben diversa dal generale obbligo di repêchage di derivazione giurisprudenziale.

Alla luce delle ordinanze in esame, nei rapporti di lavoro in somministrazione a tempo indeterminato ancora soggetti, quanto alla disciplina limitativa dei licenziamenti, alle norme statutarie, come novellate dalla Legge n. 92/2012, la “mancanza di occasioni di lavoro” per il dipendente collocato in disponibilità e licenziato per g.m.o. rientra pienamente nel “fatto” posto a base del recesso.

L’insussistenza manifesta di un tale fatto legittima il riconoscimento della tutela reintegratoria attenuata, essendo chiaro che, per le ragioni sopra viste, la sussistenza di occasioni di lavoro – nei termini previsti dall’art. 25 del CCNL di settore – integra un’espressa violazione dell’accordo sottoscritto in sede di procedura speciale e non una semplice violazione del più generale obbligo di repêchage.

 

  1. Considerazioni conclusive

Con riferimento agli oneri di allegazione e prova nei giudizi d’impugnativa di licenziamento per g.m.o., si ritiene che le indicazioni fornite con il recente orientamento della Corte di Cassazione di cui si è dato conto debbano essere pienamente recepite nella presente tipologia di rapporti e con riferimento ai contenziosi inerenti il licenziamento intimato a fronte della mancanza di occasioni di lavoro (a dispetto di alcuni diversi orientamenti emersi nella giurisprudenza di merito di cui si è dato conto).

Possibili dubbi di futura tenuta dell’orientamento concretato dalle pronunce annotate si possono esprimere con riferimento all’applicazione, operata dalle stesse, della sanzione reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, co. 4 e 7, L. n. 300/1970, come novellato dalla L. n. 92/2012.

Non è da escludere, infatti, che l’orientamento che assumerà la giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione del vigente art. 18, comma 7, della L. n. 300/1970, in particolare con riferimento alle conseguenze sanzionatorie (reintegratorie o solo indennitarie) della violazione del più comune obbligo di repêchage, possa esercitare una qualche influenza nella conferma o meno dell’orientamento qui esaminato.

Tuttavia, ove si concluda, in linea con le condivisibili ordinanze in commento, che l’asserita “mancanza di occasioni di lavoro” costituisca il presupposto centrale del licenziamento per g.m.o. ed identifichi il “fatto” posto a base del recesso, l’insussistenza di esso rende possibile (o dovuta) l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata, con irrilevanza degli approdi cui perverrà la giurisprudenza per l’ipotesi di illegittimità del licenziamento per violazione del più comune obbligo di repêchage.

Nel quadro detto, appare comunque consigliabile ai lavoratori in somministrazione licenziati dedurre analiticamente tutte le censure mosse alla ApL, con riferimento ai presunti scostamenti dalla procedura dell’art. 25 del CCNL e con riferimento alla sussistenza di occasioni di lavoro, ed alle aziende di attenersi scrupolosamente alla disciplina contrattuale di cui all’art. 25 del CCNL, prospettando al lavoratore collocato in disponibilità tutte le occasioni di lavoro congrue con il suo profilo professionale, onde evitare che possa ritenersi giudizialmente integrata l’ipotesi della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” di cui all’art. 18, co. 7, L. n. 300/1970, come novellato dalla L. n. 92/2012, con applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui all’art. 18, co. 4, come avvenuto nei casi in esame.

 


[1] Avvocato del Foro di Roma.

[2] Per un’ampia disamina della disciplina della somministrazione di manodopera contenuta nel D.Lgs. n. 276/03 si rimanda, tra gli altri, a P. Ichino, La somministrazione di lavoro, in M. Pedrazzoli (coord. da), Il nuovo mercato del lavoro, Bologna, 2004; cfr., altresì, M. Tiraboschi (a cura di), Le esternalizzazioni dopo la riforma Biagi. Somministrazione, appalto, distacco e trasferimento di azienda, Milano, 2006; R. Del Punta, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in A.A. V.V., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004; M. Magnani, Le esternalizzazioni e il nuovo diritto del lavoro, in M. Magnani, P.A. Varesi (a cura di), Organizzazione del mercato del lavoro e tipologie contrattuali, Torino, 2005; P. Chieco, Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore del terzo, in P. Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Bari, 2004; V. Speziale, Somministrazione di lavoro, in E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Padova, 2004. Per una disamina dell’istituto, aggiornata al D.Lgs. n. 81/2015, cfr. tra gli altri L. Calcaterra, A venti anni dal pacchetto Treu: la somministrazione di lavoro tra spinte innovative e resistenze ideologiche, in Mass. Giur. lav., 2017, 3, 115 e ss.

[3] Cfr. A. D’Ascenzo, Agenzie per il lavoro e licenziamento. Una recente pronuncia del Tribunale di Milano, in www.bollettinoadapt.it, 2016, 26, 2 e ss., che, nel commento ad un’ordinanza del Tribunale di Milano del 27 giugno 2016, n. 2408, richiama una precedente ordinanza del Tribunale di Milano 24 luglio 2015, n. 22702, espressasi in tale senso.

[4] R. Salimbene, La somministrazione del lavoro nella contrattazione collettiva, in Guida al lav., 2016, 48, 27 e ss. osserva come il Legislatore, con gli interventi degli ultimi anni, abbia valorizzato anche la contrattazione collettiva delle imprese utilizzatrici quale “strumento di flexicurity del nostro Ordinamento, capace di conciliare al contempo le esigenze di flessibilità e professionalità delle aziende utilizzatrici con la tutela dei diritti dei lavoratori somministrati”.

[5] In questo senso cfr. A. D’Ascenzo, Agenzie per il lavoro e licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Profili sostanziali della fattispecie e onere probatorio, in www.bollettinoadapt.it, 2016, 2, che evidenzia come l’osservanza ad opera dell’APL della procedura di cui all’art. 25 del CCNL potenzialmente ridimensioni il rischio di soccombenza nel giudizio di eventuale impugnativa di licenziamento intimato al termine di essa.

[6] In questo senso cfr. P. Ichino, La somministrazione di lavoro, in M. Pedrazzoli (coord. da), Il nuovo mercato del lavoro, op. cit., 46; cfr. P. Ichino, Il contratto di lavoro, III, Milano, 2003, 435-467.

[7] Si fa riferimento alle note sentenze della Corte di Cassazione, Sez. Lav., 22 marzo 2016, n. 5592 e 13 giugno 2016, n. 20101, in Riv. giur. lav. 2016, 3, con nota di L. Monterossi, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e repêchage: nessun onere di allegazione; cfr. nello stesso senso Cass., 12 gennaio 2017, n. 618; contra Cass., n. 9467 del 10 maggio 2016 in Mass. giur. lav., 2016, 7, 481).

[8] Cfr. A. D’Ascenzo, Agenzie per il lavoro e licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Profili sostanziali della fattispecie ed onere probatorio, op. cit., 1, ove si menzionano ordinanza del Tribunale di Milano, dell’11 luglio 2016 e decreto di rigetto del Tribunale di Roma del 27 giugno 2016, negativi per le parti ricorrenti, evidenziandosi che il ricorso proposto dai lavoratori nei due rispettivi giudizi “era infondato non tanto perché la società aveva correttamente applicato l’art. 25 del CCNL, ma a causa della mancata allegazione e prova, da parte delle ricorrenti, dei fatti storici rilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie”.

[9] In questi termini cfr. Trib. di Campobasso, est. Scarlatelli, sentenza del 20 dicembre 2016, inedita a quanto consta, resa su un ricorso promosso da quattro lavoratori dipendenti a tempo indeterminato in somministrazione, licenziati dalla ApL al termine della procedura dell’art. 25 citato, i quali, senza sollevare contestazioni in ordine alla osservanza di essa da parte dell’ApL, avevano eccepito come fosse inverosimile che l’agenzia, con circa 300 unità locali e quasi 40.000 dipendenti, non fosse stata in grado di ricollocarli all’interno della azienda, invocando una violazione del generale obbligo di repêchage.

[10] Senza pretesa di esaustività, si ritiene che, nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione costituiti all’indomani del 7 marzo 2015, stante la previsione dell’art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015, l’insussistenza della mancanza di occasioni di lavoro dedotta dall’APL renda il licenziamento illegittimo e sanzionabile con la tutela indennitaria di cui all’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015, salva l’ipotesi di declaratoria di nullità (ad esempio, per discriminatorietà del recesso) che determinerebbe l’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015.

[11] In tutte le tre ordinanze, il Giudice adito ha disposto la condanna alla sanzione reintegratoria, con la singolare variante dell’ordinanza del Tribunale di Bergamo, che ha parametrato l’indennità di cui al comma 4 dell’art. 18 della L. n. 300/1970 non alla retribuzione di fatto, ma all’ammontare della indennità di disponibilità.

[12] Per una articolata disamina delle soluzioni interpretative espresse in dottrina ed emerse anche in giurisprudenza, a fronte della formulazione testuale dell’art. 18, co. 7, della L. n. 300/70 riportata nel testo, si rimanda alla puntuale ed completa analisi compiuta da G. Santoro Passarelli, Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in Dir. rel. ind., 2015, 1, 8 e ss. Tra gli Autori che ritengono il repêchage elemento della fattispecie, parte integrante del «fatto posto alla base del licenziamento» in assenza del quale può essere dovuta la reintegrazione, cfr. A. Perulli, Fatto e valutazione giuridica del fatto nella nuova disciplina dell’art. 18 Stat. Lav. Ratio e aporie dei concetti normativi, in Arg. dir. lav, 2012, 4-5, 800 e ss.; tra quelli che escludono la tutela reintegratoria in caso di violazione dell’obbligo di repêchage, cfr. G. Santoro-Passarelli, Il licenziamento per giustificato motivo e l’ambito della tutela risarcitoria, in Arg. dir. lav,  2013, 2, 231 e ss.; F. Carinci, Ripensando il “nuovo” art. 18 dello statuto dei lavoratori, in Giur. it., 2014, 1, 233.

Avv. Paolo De Marco

Laureato con lode presso l’Università degli studi «La Sapienza» di Roma nel giugno 1997 (Tesi di laurea in diritto civile, in materia di clausole vessatorie).
Dal dicembre del 1997 collabora, continuativamente, con lo studio.

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